Commercio italiano: sfide ed opportunità di un “No Deal” tra Regno Unito e Unione Europea

Il Regno Unito è un mercato molto importante per il commercio internazionale italiano. Infatti, nel 2017 il Regno Unito è stato il quinto partner commerciale dell'Italia, dopo Germania, Francia, Stati Uniti e Spagna, e il secondo nella classifica del surplus per l'Italia dopo gli Stati Uniti.

Secondo il rapporto dell’ICE, Istituto Commercio Estero, nel 2017 il commercio tra Regno Unito e Italia è stato di 34,5 miliardi di euro rispetto ai 33,7 del 2016, con un incremento quindi del + 2,4%. In particolare, le esportazioni italiane sono ammontate a 23,1 miliardi di euro (+ 3,2%), mentre le importazioni dal Regno Unito sono ammontate a 11,4 miliardi di euro, l'1,3% in più rispetto al 2016. Il saldo è positivo per l'Italia per 11,7 miliardi di euro, in crescita del 4,5% rispetto al 2016.

Il voto del Parlamento britannico che ha respinto l'accordo di maggio ha mostrato un momento molto delicato per i marcatori italiani ed europei. Un cosiddetto "NO DEAL" tra il Regno Unito e l'Unione Europea potrebbe creare incertezza e timore tra i mercati portando un potenziale effetto domino in cui le aziende potrebbero decidere istintivamente di lasciare il mercato britannico (e viceversa). In effetti, un "NO DEAL" potrebbe avere un impatto negativo sia sulle multinazionali che hanno scelto di stabilire il loro ufficio a Londra, e sia sulle PMI che esportano e importano dal Regno Unito. Pertanto, in caso di "NO DEAL", esiste la possibilità di ricorrere a uno scenario in cui, almeno per un certo periodo e per categorie specifiche di prodotti, gli accordi dell’Organizzazione del Commercio Mondiale (WTO) disciplineranno il commercio con l'economia britannica.

In termini negativi, va anche considerato che le controllate britanniche in Italia hanno un peso rilevante. Queste assicurano un fatturato annuo di circa 35 miliardi di euro, pari al 9,5% del fatturato totale delle multinazionali in Italia, e occupano circa 85 mila dipendenti.

Nonostante gli effetti negativi, uno scenario "NO DEAL" potrebbe portare in Italia e nei paesi dell'UE anche interessanti opportunità. L'uscita del Regno Unito dall'UE potrebbe innescare una ridistribuzione almeno parziale degli investimenti esteri e attirare multinazionali in altri paesi dell'UE. Gli effetti sarebbero prodotti a medio termine anche se il loro impatto reale è difficile da quantificare in anticipo.

Uno studio del 2016 stima una diminuzione degli investimenti esteri nel Regno Unito del 22% in dieci anni. Questo importo corrisponderebbe a circa 282 miliardi di euro di capitale straniero che potrebbero fluire nei paesi dell'UE.

L'attrazione di questi investimenti stranieri da parte dei singoli paesi dipenderà dalle loro caratteristiche strutturali. Naturalmente anche per l’Italia potrebbero nascere delle opportunità per attirare investimenti. Sulla base del grado di somiglianza tra le distribuzioni settoriali degli investimenti stranieri in entrata, con l'importante eccezione dei servizi finanziari che hanno un ruolo di primo piano per l'economia del Regno Unito, emerge che il mercato italiano potrebbe avere buone possibilità, perché i suoi settori con un una maggiore presenza di capitali esteri (produzione, vendita all'ingrosso, telecomunicazioni e servizi IT) sono gli stessi che occupano le prime posizioni nella distribuzione di investimenti esteri diretti nell'economia del Regno Unito.

Nel 2017 le principali voci delle esportazioni italiane nel Regno Unito sono state:

  • macchinari (2,7 miliardi di euro);
  • autoveicoli (1,6 miliardi di euro);
  • medicinali e prodotti farmaceutici (1,3 miliardi di euro);
  • abbigliamento (1,2 miliardi di euro);
  • bevande (1 miliardo di euro);
  • componenti per autoveicoli (902 milioni di euro);
  • mobili (902 milioni di euro);
  • calzature (605 milioni di euro).

Per quanto riguarda le importazioni dalla Regno Unito, le voci più rilevanti sono state:

  • autoveicoli (1,9 miliardi di euro);
  • medicinali e prodotti farmaceutici (1,1 miliardi di euro);
  • macchinari (836 milioni di euro);
  • prodotti chimici (501 milioni di euro).

Fonte dei dati: Elaborazione su dati Istat (ICE London)

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