India: reale opportunità di business ?

Il mercato indiano è senza alcun dubbio tra le economie emergenti più interessanti del panorama mondiale, grazie ad un mercato e un ceto medio in forte crescita.

Tra le economie emergenti, quella che rappresenta ad oggi una interessantissima opportunità è sicuramente l’India.

L’economia indiana è tra quelle con la più alta crescita al mondo. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, l’economia indiana ha risposto alla profonda contrazione del 2020, con una crescita del 9.5% nel 2021. Non solo, il rimbalzo dovrebbe continuare per tutto il 2022 con una crescita prevista dell’8,5%.

A rendere l’India attrattiva da un punto di vista degli investimenti non è soltanto la sua crescita economica ma anche la popolazione, tra le più numerose al mondo. Il Paese possiede una base di consumatori in forte crescita che, grazie ad un potere d’acquisto maggiore, cercherà di permettersi sempre più prodotti e servizi. Inoltre l’uso della lingua inglese facilita l’ingresso nel mercato di aziende estere.

Ad aiutare e supportare la crescita economica del Paese ci sono importanti riforme e programmi di sviluppo economico, varati dal governo, che tendono alla modernizzazione del mercato e a favorire una crescita degli investimenti esteri.

Altra caratteristica che bisogna prendere in forte considerazione è la posizione geografica strategica dell’India, che la pone come piattaforma ideale per l’apertura ai mercati dei Paesi del Sud est asiatico, sfruttando così un ulteriore opportunità di business.

Quali sono le opportunità di business?

Il settore manifatturiero è sicuramente trainante per il Paese. Si tratta di un settore chiave dell’economia Indiana che contribuisce al 16%-17% del PIL, garantendo occupazione per circa il 12% della forza lavoro del Paese.

L’Agricoltura assorbe circa la metà della forza lavoro e addirittura il 25% del PIL del Paese proviene da prodotti agricoli. Questi dati ci mostrano come la qualità delle colture è ancora bassa e si necessita di migliorare la produttività.

I settori da considerare ad alto potenziale strategico in questo momento sono rappresentati da quello meccanico ed ingegneristico. Infatti entrambi i settori mostrano un aumento della domanda, causata da un consumo sempre maggiore di petrolio e gas degli utenti. Nei prossimi 5 anni è previsto un ulteriore incremento dovuto dagli investimenti nelle infrastrutture di 1.5 trilioni di dollari da parte del governo.

Ci sono anche i settori informatico e tecnologico in continua crescita. Non è un caso che negli ultimi anni sono numerose le aziende che hanno investito in India, aprendo centri di produzione e ricerca nel settore della tecnologia.

Un aumento significativo nell’import dell’India si è avuto per macchinari per la trasformazione del cibo, acqua, pompe per l’acqua e settore chimico, soprattutto tra il 2020 e il 2021.

Catena del freddo in India: potenzialità di sviluppo da non sottovalutare

Le opportunità nascono anche dove ci sono delle mancanze. È il caso della catena del freddo in India, che risulta essere ancora deficitaria e rappresenta dunque una potenzialità di sviluppo elevata. Basti pensare come circa il 35-40% della produzione agricola indiana venga sprecata per la mancanza di adeguati impianti di stoccaggio del freddo. Gli impianti di stoccaggio attualmente attivi sul territorio, in modo non uniforme, vengono utilizzati maggiormente per la conservazione delle patate. I cambiamenti del mercato tuttavia, stanno aumentando l’attenzione verso celle frigorifere multiuso soprattutto nelle aree in cui gli investimenti sulle infrastrutture della catena del freddo sono ancora deboli.

Ricercare partner in India

Considerando la crescita economica degli ultimi anni e le previsioni di crescita dell’economia, si può giungere alla conclusione che investire oggi in India potrebbe convenire. Tra i mercati emergenti, l’India è sicuramente tra i più attraenti. Riuscire a trovare partner all’interno del Paese può portare grossi vantaggi e abbassare i rischi di investimento. MatcHub mette a disposizione i suoi servizi gratuiti per trovare partner commerciali in India attraverso la creazione delle “Proposal”, vere e proprie offerte di partnership dedicate solo ed esclusivamente ad aziende profilate.

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Quali sono i 10 brand italiani più forti nel mondo

Molto spesso si parla di Made in Italy, della forza delle imprese italiane all’estero o dei settori nei quali le aziende italiane sono universalmente riconosciute al top delle classifiche mondiali. Ma effettivamente sappiamo quali sono i brand italiani più influenti e di valore nel mondo?

Facciamo chiarezza sul concetto di brand e cosa significa

 

Tanti pensano che il brand sia il nome o il logo di un’azienda. Ma non è così, in realtà il brand è molto di più. Rappresenta l’insieme di elementi quali nome, logo, storia aziendale, comunicazione e reputazione. È tutto ciò che ognuno associa ad una marca o ad un prodotto e che spinge un consumatore a preferire una marca piuttosto che un’altra.

Il brand è un bene intangibile che fa parte del capitale aziendale e molto spesso è una delle cose più di valore che un’azienda possiede.

Alcuni esempi di branding di successo

Uno smartphone ed un Iphone possono avere le stesse caratteristiche tecniche ma per molte persone i device con la mela morsicata non hanno paragoni e molti sono disposti a fare file lunghissime, di notte, per essere i primi ad accaparrarsi l’ultimo modello. Sicuramente senza il simbolo della mela tutte quelle persone non si muoverebbero da casa propria.

Un altro esempio è la Coca Cola. Se ad una qualsiasi persona si chiede vuoi una bevanda zuccherata a base di cola cosa penserà? Certo, dammi della Coca Cola. O se alla stessa persona si parla di auto sportive molto probabilmente questa penserà ad una Ferrari.

Questa associazione che avviene nella mente di ognuno di noi tra un prodotto e un marchio è la forza del brand.

Naturalmente non tutti i brand hanno lo stesso valore o influenzano nello stesso modo le abitudini di acquisto dei consumatori. Avere un brand molto forte vuol dire possedere il driver più importante nella valutazione degli acquisti. E questo vale sia in ambito consumer sia business.

I marchi italiani top del 2019

 

Brand Finance (https://brandirectory.com/), società leader nella consulenza strategica, ogni anno analizza più di 5000 brand, nel mondo, valutando per ognuno forza e valore.

Anche per il 2019 è stata stilata la classifica dei brand italiani per il 2019.

Classifica qui: https://brandirectory.com/rankings/italy

Al primo posto come brand italiano più forte, cioè la capacità di influenzare le decisioni di acquisto dei consumatori, troviamo Ferrari. Come riporta il report stesso: “l’estrema capacità di influenzare le scelte dei clienti ha consentito a Ferrari di incrementare il valore del trademark fino a raggiungere il i €7,1 miliardi di valore grazie ad un incremento del 29% rispetto allo scorso anno.”

Restando al settore auto troviamo al terzo posto Lamborghini. La crescita del brand di Sant’Agata Bolognese è sostenuta dal supporto tecnico e dagli investimenti che Audi ha portato nella casa italiana. Questi hanno consentito di sviluppare un discreto numero di modelli.

Una parte cospicua delle prime 10 posizioni è rappresentata dai marchi del lusso. Si trovano infatti in seconda posizione Prada, in quarta Gucci, quinta Bottega Veneta, sesta Moncler e in ottava posizione Versace. Questa numerosità sicuramente non sorprende se si considera che il settore della moda italiana è da sempre ai vertici mondiali è che il settore del lusso è fortemente influenzato dal brand. Inoltre si può notare come la continua capacità di influenzare le scelte di acquisto indica che la crescita del valore del brand sia indipendente da fattori estemporanei.

Per le prime 10 posizioni mancano ancora 3 posti da riempire. Essendo una classifica di brand italiani non potevano mancare certo i brand del food. E quale brand italiano del food è più forte e conosciuto in tutto il mondo se non la nutella? Infatti Ferrero e Nutella occupano rispettivamente la settima e la nona posizione.

Non poteva essere diversamente del resto, una fetta di pane e nutella e ormai una merenda buona a tutte le latitudini. E ciò si rivede in queste due posizioni di alta classifica nei brand più di valore.

In decima posizione troviamo Poste Italiane. La posizione cosi alta di Poste è dovuta al fatto che non viene valutata solo come azienda logistica ma anche come brand assicurativo. Infatti il gruppo ha come parte principale del business proprio il lato assicurativo grazie alla capillare diffusione su tutto il territorio nazionale.

Come si notare ognuno di noi, ogni italiano, riconosce queste marche e anche se in maniera non scientifica avrebbe posto la maggior parte di queste in un’ipotetica classifica personale. Questo è il brand: ciò che un’azienda trasmette, ciò che un’azienda comunica, l’identificazione che ognuno di noi fa con un prodotto e tanto altro.

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Cos’è l’EBITDA? Perchè è importante conoscerlo?

Recessione, crisi, caduta delle borse. Queste sono le settimane in cui il Coronavirus sta distruggendo i nostri affetti, la nostra vita, la nostra quotidianità eppure oltre ai dati sanitari sui quali siamo costantemente aggiornati ci troviamo a dover analizzare come il virus impatterà sull’economia mondiale.

La globalizzazione si è fatta viva più che mai attraverso i flussi di contagio del virus, dimostrando come le barriere e i confini non esistano. Il famoso "battito di ali" in Cina ha provocato uno tsunami mondiale; sanitario ed economico.

Questo virus si lascerà alle spalle una scia di decessi e malati in tutto il mondo ma anche un’economia mondiale profondamente colpita.

A tutte le latitudini una delle misure adottate per contenere il contagio è la chiusura delle attività produttive non essenziali.

Questo intervento, così importante per la salvaguardia della salute pubblica, avrà logicamente un impatto devastante sui conti delle imprese.

Detta così può sembrare una cosa scontata ma allo stesso tempo fumosa.

Come si capirà la portata di tale crisi per un’azienda?

Come sarà possibile paragonare il prima e il dopo crisi in un’azienda?

Come sappiamo, i conti di un’azienda sono fatti di numeri, che per loro definizione sono definiti e non si prestano ad interpretazione.

Infatti, solo attraverso essi sarà possibile rispondere a queste e a tante altre domande.

Allora volendo andare a cercare un numero, nei conti aziendali, che ci darà poi la misura dell’impatto di questo virus venuto dalla Cina, qual è il numero che dobbiamo analizzare?

EBITDA: definizione e calcolo

Il numero che per primo darà una fotografia di ciò che ogni azienda subirà in termini economici è sicuramente l’EBITDA.

Il termine EBITDA è l’acronimo di Earnings Before Interests Taxes Depreciation and Amortization. Esso evidenzia il reddito di un'azienda basato solo sulla sua gestione caratteristica, al lordo, quindi, di Interests (gestione finanziaria), Taxes (gestione fiscale), Depreciations (svalutazioni) e Amortization (ammortamenti).

In altre parole possiamo vedere l'EBITDA come la capacità dell'azienda di produrre l'utile dalla sua gestione caratteristica senza l'incidenza di quella straordinaria, finanziaria e fiscale.

Un altro modo per comprendere meglio cosa è questo indicatore lo si ottiene passando per il suo calcolo.

Nella sua versione più comune ed immediata questo si ottiene nel seguente modo:

Ricavi

+

Rimanenze

+

Valore della produzione

=

Costo della materia prima

-

Costo del lavoro

-

Costo dei servizi

-

Costo di funzionamento

-

EBITDA

Facciamo un esempio pratico molto semplice.

Prendiamo una pizzeria.

A fine mese la nostra pizzeria ha venduto prodotti per 10.000 euro.

Per poter sfornare le pizze il pizzaiolo ha acquistato materie prime (farina, lievito, pomodori, mozzarella, ecc) per 2.000 euro.

Una volta che si hanno le materie prime qualcuno le deve lavorare, per cui ha fine mese il pizzaiolo paga lo stipendio ai propri dipendenti per altri 3000 euro.

Ma le spese non finiscono qui, ci sono una serie di spese tipiche della gestione di una pizzeria. Ad esempio l’energia elettrica, il riscaldamento, la carta, le buste, la pulizia del locale, la pubblicità, ecc. Tutte queste spese in totale fanno altri 1.000 euro.

Adesso che abbiamo a disposizione tutti i numeri passiamo a calcolare l’EBITDA secondo lo schema visto prima.

Ricavi

10.000

Rimanenze

0

Valore della produzione

10.000

Costo della materia prima

2.000

Costo del lavoro

3.000

Costo dei servizi

500

Costo di funzionamento

500

EBITDA

4.000

Quindi dai 10.000 euro incassati passiamo in un batter d’occhio a 4.000 euro.

Ma attenzione, questo non è ciò che il pizzaiolo metterà in tasca, quello è il cosiddetto utile di esercizio.

Da questi 4.000 euro dovranno essere sottratti tutti gli elementi fuori dall’EBITDA, quali interessi, tasse, ammortamenti, svalutazioni, gestione straordinaria.

Come si nota, l’EBITDA è un valido indicatore di profittabilità poiché indica la capacità dell’azienda di generare reddito basandosi esclusivamente sulla gestione operativa, ossia quella inerente al business della società.

EBITDA: ratio utili

Per ottenere un indicatore che ci permetta di fare dei confronti nel tempo o analizzare la situazione di un’azienda rispetto ai propri competitor si usa vedere l’EBITDA in un altro modo. Attraverso il suo valore percentuale, detto anche EBITDA Margin.

Per esempio, nel caso della pizzeria descritta sopra l’EBITDA Margin ha un valore pari al 40%.

L’EBITDA Margin ha un significato diverso a seconda del settore di appartenenza dell'azienda.

Naturalmente l’EBITDA non serve solo al singolo imprenditore per sapere come va la propria azienda. L’EBITDA viene poi spesso utilizzato per la costruzione di indicatori utili alla valutazione di una società come ad esempio il Debt/EBITDA o l’Enterprise Value/EBITDA.

L’Enterprise Value esprime il valore del capitale azionario sommato all'entità dell'indebitamento finanziario netto.

Il rapporto con il livello dell'indebitamento poi ha un impatto determinante sull'equilibrio economico-finanziario di un'impresa, in quanto l'EBITDA può essere visto anche come la capacità di far fronte alle passività aziendali producendo periodicamente reddito.

In altri termini è una misura di autofinanziamento attraverso la gestione operativa.

Il rapporto tra la capitalizzazione azionaria e l'EBITDA dà delle indicazioni molto significative per determinare quanto una società sia sopra/sottovalutata in borsa. Se ad esempio una società ha una capitalizzazione di 100 mln e ha un EBITDA di 10 mln, significa che capitalizza 10 volte il reddito prodotto dalla gestione caratteristica. Se le aziende del settore invece hanno un rapporto pari a 15 vuol dire che la società è sottovalutata e quindi può rappresentare un'occasione importante di investimento da parte del mercato.

Quando si vuole procedere ad un’analisi di una società non bisogna calcolare l’EBITDA di volta in volta, basterà andare a vedere il report o il bilancio della società che ci interessa valutare per trovarlo. Spesso viene messo in risalto dalle stesse aziende nei commenti di presentazione dei report.

EBITDA: problemi e conclusioni

L’EBITDA non è un indicatore perfetto, bisogna sapere che presenta comunque delle problematiche.

La prima riguarda l’assenza di uno standard contabile-legale che definisca la composizione dettagliata dell’EBITDA. Questa mancanza infatti, può favorire l’uso distorto di tale indicatore. Ad esempio se si dovesse variare la sua composizione nel corso del tempo si riuscirebbe a nascondere carenze di redditività.

L’EBITDA inoltre non tiene conto delle tasse e degli interessi, che come si sa pesano non poco sui bilanci societari. Non è raro trovare situazioni in cui un’azienda abbia un valore EBITDA molto alto ma che alla fine si ritrovi in perdita dato un enorme squilibrio negli interessi passivi o a causa di un esborso elevato di tasse.

Guardandola da un’altra prospettiva, si può vedere la cosa in maniera del tutto speculare. Una società che ha un risultato d'esercizio lusinghiero non per forza è migliore di un'altra che è in perdite. Questo perché ciò può dipendere dal fatto che la prima ad esempio abbia beneficiato di una norma che ha ridotto il peso di tasse e contributi e la seconda invece abbia fatto investimenti importanti che hanno comportato un'incidenza degli ammortamenti superiore.

È bene quindi non utilizzare solamente l’EBITDA, ma è necessario valutarlo in un contesto più ampio, in cui si prendono in esame altri indicatori di profittabilità e soprattutto analizzando nel dettaglio l’incidenza della gestione extra-operativa sui conti dell’azienda.

Il settore della moda in Italia: analisi ed approfondimenti

L’intero settore della moda conta circa 82 mila imprese attive. Nei primi mesi del 2019 il settore sto registrando una tendenza del +3,5%. Con circa 500 mila occupati (+0,3% rispetto al 2016), l’industria della moda è il secondo settore manifatturiero in Italia dopo le attività metallurgiche.

Il fatturato aggregato vale circa 22 miliardi di euro, ovvero l’1,3% del Pil italiano. Questo fatturato deriva principalmente dal comparto abbigliamento che ammonta al 40,5%, seguito dalla pelletteria per il 20,9% e dall’occhialeria per il 16,2%. Il fatturato aggregato del settore della moda in Italia vale circa 22 miliardi di euro, ovvero l’1,3% del Pil del 2017. Questo fatturato deriva principalmente dal comparto abbigliamento che ammonta al 40,5%, seguito dalla pelletteria per il 20,9% e dall’occhialeria per il 16,2%.

EXPORT

L’export è la più grande ricchezza del settore moda. I prodotti italiani sono molto apprezzati soprattutto in Francia, Germania e Asia. La variazione dell’export dal 2013-2019 è del +29,6%, secondo i dati riportati dall’indagine di Mediobanca del 13 febbraio 2019 per ogni 10 euro di fatturato 6 euro provengono dall’estero.

OCCUPAZIONE

Cresce anche l’occupazione nel settore, avendo circa 60 mila posti di lavoro in più rispetto ai dati del 2013. Nel 2018 ogni azienda ha prodotto utili medi giornalieri di circa 63 mila euro contro i 38 mila del 2013

LE AZIENDE PIÙ PICCOLE CRESCONO

Il rapporto R&S di Mediobanca sui principali gruppi della moda ha preso in esame le dinamiche delle 163 Aziende Moda Italia con un fatturato superiore a 100 milioni nel 2018, oltre ai principali gruppi europei del settore. È stato constatato un ridursi del divario tra le top 15 e le “inseguitrici” in un contesto che si rivela complessivamente più omogeneo.

Complessivamente le Aziende Moda Italia hanno visto crescere le proprie vendite annuali mediamente del 6,6% nel 2013-2018. Complessivamente le Aziende hanno visto crescere le proprie vendite annuali mediamente del 6,6% nel 2013-2018.

 

SOSTENIBILITÀ

Tra i punti di forza del settore Moda made in Italy c’è l’attenzione sempre più importante alla sostenibilità. Un tema decisivo per il futuro della moda in generale, che è la seconda industria più inquinante al mondo. La filiera italiana ha avuto il merito degli ultimi anni di dimostrare impegno nella riduzione dell’impatto ambientale e nell’introduzione di nuovi metodi di lavorazione meno inquinanti anche a monte della filiera.

 

Conosci la contabilità in Italia? Scopri come funziona e i suoi regimi

Quale e lo scopo di tenere una contabilita precisa ed ordinate all interno di una azienda?

La contabilità ricopre un ruolo chiave nella gestione della tua attività poichè ti permette di avere un controllo sulla tua situazione economica.

Per fare un quadro generale ogni azienda che si rispetti ha il diritto ed obbligo di tenere una corretta contabilita. I motivi sono relativamente semplici:

  • E un diritto poiche attraverso le scritture contabili un impresa ha sempre sotto controllo l andamento delle entrate e delle uscite ed ha un resoconto finale alla fine di ogni esercizio grazie al bilancio.
  • E un obbligo poiche viene imposto dalla legge per dimostrare a terzi tutte le attivita che essa compie.

COME FUNZIONA LA CONTABILITA IN ITALIA ?

Le scritture contabili obbligatorie che un imprenditore commerciale italiano deve conservare sono innanzitutto:

– il libro giornale nel quale vanno indicate, giorno per giorno, tutte le operazioni compiute nel corso dell’esercizio dell’impresa;

– il libro degli inventari dove si deve indicare una situazione dettagliata delle attività e le passività possedute dell’impresa e il conto dei profitti e delle perdite;

– i registri IVA;

– il registro dei beni ammortizzabili in cui sono riportati le informazioni relative ai cespiti aziendali. Vengono scritti nel libro cespiti i beni immobili (terreni, o capannoni, attrezzature..) o (marchi o brevetti...) e i beni mobili iscritti nei pubblici registri di cui è titolare l’azienda

– il libro mastro in cui vengono riportate le registrazioni per ogni conto e si recide con il criterio della partita doppia e le operazioni vengono riportate in ordine cronologico;

L’imprenditore commerciale deve anche conservare tutte le altre scritture richieste rispetto la natura e le dimensioni specifiche dell’impresa, quali ad esempio:

– il libro di cassa, il quale non è un registro obbligatorio ma è uno strumento usato dalla aziende per agevolare la propria contabilità

– il libro magazzino nel quale sono registrate le entrate e le uscite di merci, richiesto solo per imprese di grandi dimensioni;

– il registro incassi, richiesto solo per le attività professionali

Inoltre le società di capitali devono tenere:

– i libri sociali il libro dei soci, il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee  e poi in base alla loro organizzazione il libro delle obbligazioni, del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale ove previsto.

Tali scritture contabili,  secondo il codice civile art. 2220, debbono essere conservate per almeno 10 anni dalla data dell’ultima registrazione, anche se intanto l’impresa ha cessato di lavorare per chiusura dell attivita. Una volta passato questo periodo di tempo non si potra piu contestare all’imprenditore l assenza di tali documenti.

Le societa che lavorano in italia sono obbligate a rispettare i principi contabili contenuti nel Codice Civile (https://www.brocardi.it/codice-civile/) e i principi contabili emessi dall’ OIC (Organismo Italiano di Contabilita),(https://www.fondazioneoic.eu/?lang=en) che completa quelli contenuti nel C.C.

L’OIC e un organizzazione, composta da vari organi,  fondata nel 2001.Ha il ruolo di emanare i principi contabili nazionali per la redazione dei bilanci delle aziende italiane, ma ha inoltre rapporti con enti internazionali come l’ IASB (https://www.iasplus.com/en/resources/ifrsf/iasb-ifrs-ic/iasb) o IFRS (https://www.ifrs.org/), fornendo cosi supporto in Italia per l’applicazione di questi principi, utili per le attivita che vogliono espandere il loro buisness al di fuori del proprio confine.

Ora andremo a fare una breve distinzione riguardo ai 2 tipi di contabilita presenti nel mondo dell economia, specificando i soggetti di cui ne fanno parte. 

 

CONTABILITA ORDINARIA (art. 13 del D.P.R. 600/73):

E imposta dalla legge per le attivita che superano vendite di 700.000 Euro o 400.000 Euro se si tratta di servizi.

Chi rientra nella contabilita ordinaria?

– Societa di persone (SRL, SPA, SAPA)

– societa cooperative

– societa di mutual assicurazione

– cosorzi/assicurazioni o organizzazioni non riconosciute

– enti pubblici e private che operano a scopo commerciale residenti in italia.

 

CONTABILITA SEMPLIFICATA (art. 18 del DPR n.600/73)

E imposta dalla legge per le attivita con ricavi inferiori a 400.000 euro per i servizi e 700.000 euro per i prodotti.

Chi rientra nella contabilità semplificata?

– imprese individuali

– società di persone

Conosci quali sono gli alimenti e l’export del Trentino?

Il Trentino Alto Adige, locato nel nord Italia, è una meta molto ambita per i turisti, i quali non sono solo attratti dai panorami, montagne e i laghi, ma anche dai piatti tipici. Le abitudini culinarie presenti in queste zone rappresentano un eccellente mix tra le tradizioni austriache e italiane con la prevalenza quindi di salumi, formaggio, mele e vino.

Gli inizi del 2019 hanno sancito un record per quanto riguarda l’export di alimenti provenienti dal Trentino. Le esportazioni sono state costituite principalmente da prodotti dell’attività manifatturiera e in particolare il settore dei prodotti alimentari ha raggiunto circa il 16% del totale dei prodotti esportati.

Le imprese esportatrici sono in totale 1200, con le prime 100 che realizzano l’80% dell’export complessivo. Questi risultati, sono dovuti anche alla presenza di grandi nomi del settore alimentare trentino, i quali hanno creato col passare degli anni, un’ ottima immagine all’estero di se e del territorio.

 

VINI E SPUMANTI

 

Tra i prodotti emblematici possiamo sicuramente citare due tra i vini più rinomati, il “Teroldego Trentino Doc” e il “Marzemino Trentino Doc” i quali sono molto richiesti anche in tutta Italia, insieme agli spumanti, presenti in grandi quantità e varietà. L’esportazione di vino negli anni è gradualmente incrementata grazie anche a manifestazioni e fiere che attraggono migliaia di potenziali clienti. Tra queste c’è sicuramente il Vinitaly, fiera che si tiene a Venezia a cadenza annuale che conta circa 4000 espositori e 150.000 visitatori a edizione. A prenderne parte ci sono due tra le più grandi aziende trentine nella produzione di vino e spumante: Cavit e Ferrari. Entrambe, come molte altre, hanno puntato forte ormai da qualche anno sull’export, realizzando anno dopo anno una crescita costante.

 

LE MELE

 

Ma il punto forte del Trentino è sicuramente la mela. Più precisamente nella Val di Non, “la patria delle mele”, si arriva a produrne quasi 300.000 tonnellate all’anno, pari al 16% della produzione nazionale e al 5% di quella europea. Una così massiccia coltivazione è garantita dalle favorevoli condizioni ambientali e dalle tecniche di produzione di aziende come Melinda e La Trentina, che si impregnano in coltivazioni biologiche, che permettono di conservare le qualità naturali del frutto e nella coltivazione biodinamica, che garantisce la salvaguardia dell’ambiente e un ottimizzazione del prodotto.

 

I SALUMI

 

Altro prodotto tipico sono i salumi, i quali, molto legati alla storia e al territorio trentino, garantiscono genuinità e qualità. Il Trentino Alto Adige vanta una lunga tradizione nel settore delle carni lavorate, come nel caso dello Speck Igp. La produzione locale si contraddistingue, oltre che per un uso di carni tipicamente montane (capriolo, camoscio, cervo, alce, ecc.), anche per le tecniche d’affinamento e stagionatura, che hanno il loro punto di forza nell’affumicatura. Tra i salumi riconoscibili in tutta Italia ed Europa, abbiamo la Carne Salada, la Ciuìga, la Luganega, la Mortadella affumicata della Val di Non e per finire il famosissimo Speck del Trentino, mentre tra le aziende più riconosciute non può mancare Segata S.p.a.

 

IL LATTE E FORMAGGIO

 

In Trentino Alto-Adige nel periodo che va tra Giugno e Settembre, si pratica l’alpeggio degli animali da latte. I bovini, gli ovini e i caprini vengono trasferiti nelle malghe in alta quota, (Val Rendena e Val di Fiemme alcuni esempi), dove vengono nutriti con la vegetazione caratteristica della montagna. Questo tipo di allevamento si ripercuote in modo molto positivo sulla produzione di latte i suoi derivati e sull’ambiente. Leader nel settore sono Mila e LatteTrento, prduttori di latte, yogurt, formaggio, burro, ecc…

 

Record dell’export del vino italiano nel mondo: 6,2 miliardi di euro e +3,3%

Secondo i dati ISTAT il 2018 è stato un altro anno d’oro per l’export di vino italiano. Il totale delle esportazioni nel mondo ha superato quota 6,2 miliardi di euro con una crescita di circa 200 milioni di euro, corrispondente ad un +3,3%, rispetto al valore conseguito nell’anno precedente.

L’export del vino negli ultimi è stato sempre in crescita; infatti, come si evince dal grafico sotto riportato, il 2018 conferma il trend degli ultimi anni che ha visto il valore delle esportazioni aumentare sempre.
Se si analizza l’andamento delle esportazioni negli ultimi 5 anni si nota come dal 2014 al 2018 si è passati da 5,1 miliardi di euro a 6,2 miliardi di euro. Un aumento di oltre 1 miliardo di euro che è pari ad un +21.3%. Questo incremento cosi robusto e sostanziale è frutto di una crescita costante e inesorabile.

Fonte: Elaborazione MatcHub su dati ISTAT

Dall’analisi approfondita dei dati si notano dei trend sui quali porre particolare attenzione.
Non solo il totale delle esportazioni a livello mondiale presenta degli andamenti molto positivi e interessanti ma, sia se si scende nel dettaglio degli ATECO e sia nel dettaglio dei continenti di esportazioni, escono fuori dati molto importanti.
Gli ATECO che interessano il settore del vino sono:
• CA11021 [Vini da tavola e vini di qualità prodotti in regioni determinate (v.q.p.r.d.)]
• CA11022 [Vino spumante e altri vini speciali].

Un dato interessante che emerge analizzando i dati per ATECO è che l’incremento delle esportazioni arriva quasi totalmente dalle esportazioni di spumante. Nel 2018 il valore di questo specifico ATECO è stato di quasi 2,2 miliardi a fronte dei 2 miliardi del 2017. Una performance che migliore rispetto all’anno precedente di un notevole +8%.
Il settore dei vini da tavola, anche se ha ugualmente superato la performance del 2017, ha fatto registrare un aumento di soli 38 milioni di euro, pari ad un +0.9%.
Nonostante la crescita contenuta di quest’ultimo settore il dato significativo resta comunque il fatto che entrambi i settori continuano a crescere negli anni.

Fonte: Elaborazione MatcHub su dati ISTAT

Se si analizzano i dati su un lasso di tempo di cinque anni, come quella fatta sul totale delle esportazioni, si evidenzia che dal 2014 al 2018 l’aumento dell’export per il settore degli spumanti è stato del 46%, mentre quello dei vini di tavola è stato del 11%. Nei grafici in basso si nota come la curva di crescita degli spumanti sia molto più ripida rispetto a quella dei vini da tavola, ed è significativo notare come nel arco di 5 anni si passi da 1,5 mld a 2 mld. Un salto di 500 milioni di euro.

Fonte: Elaborazione MatcHub su dati ISTAT

Fonte: Elaborazione MatcHub su dati ISTAT

Una volta analizzati gli andamenti per singoli ATECO un’ulteriore analisi condotta è quella relativa al totale delle esportazioni di vino verso i diversi continenti. Naturalmente la fanno da padrone mercati con una forte tradizione sul vino come Europa e America.

Fonte: Elaborazione MatcHub su dati ISTAT

Dal grafico si evince chiaramente che la maggior parte delle esportazioni nazionali, il 61% per l’esattezza, rimangono all’interno del continente europeo. Seguono le esportazioni verso l’America con un terzo circa del totale e chiude questo ipotetico podio l’Asia con il 7%. Si noti che l’insieme di Oceania e Africa vale solamente l’1% del totale. Su questo dato però verrà posta maggior attenzione nel prosieguo dell’analisi.
Guardando lo stesso grafico ma con i valori in euro si vede come Europa e America sviluppano un export di circa 5,6 mld di euro. Mentre sempre Oceania e Africa messe insieme non arrivano nemmeno a 100 mln.

Fonte: Elaborazione MatcHub su dati ISTAT

Un trend quasi sorprendente è quello che si ha andando ad analizzare la variazione percentuale negli ultimi 3 anni per i diversi continenti.
L’Europa e l’America hanno registrato praticamente la stessa crescita conseguendo un incremento del 9,5%. L’Asia invece ha quasi raddoppiato questa performance superando il 17% di incremento. Ciò che salta agli occhi è l’aumento registrato da Africa e Oceania che fanno rispettivamente +26,6% e +35%. Praticamente triplicano l’aumento fatto da Europa e America, e doppiano il dato dell’Asia. Questo trend fa ben sperare nelle potenzialità che questi due mercati offrono a chi volesse aggredirli e provare ad esportare il vino nostrano in queste aree del mondo.

Commercio italiano: sfide ed opportunità di un “No Deal” tra Regno Unito e Unione Europea

Il Regno Unito è un mercato molto importante per il commercio internazionale italiano. Infatti, nel 2017 il Regno Unito è stato il quinto partner commerciale dell'Italia, dopo Germania, Francia, Stati Uniti e Spagna, e il secondo nella classifica del surplus per l'Italia dopo gli Stati Uniti.

Secondo il rapporto dell’ICE, Istituto Commercio Estero, nel 2017 il commercio tra Regno Unito e Italia è stato di 34,5 miliardi di euro rispetto ai 33,7 del 2016, con un incremento quindi del + 2,4%. In particolare, le esportazioni italiane sono ammontate a 23,1 miliardi di euro (+ 3,2%), mentre le importazioni dal Regno Unito sono ammontate a 11,4 miliardi di euro, l'1,3% in più rispetto al 2016. Il saldo è positivo per l'Italia per 11,7 miliardi di euro, in crescita del 4,5% rispetto al 2016.

Il voto del Parlamento britannico che ha respinto l'accordo di maggio ha mostrato un momento molto delicato per i marcatori italiani ed europei. Un cosiddetto "NO DEAL" tra il Regno Unito e l'Unione Europea potrebbe creare incertezza e timore tra i mercati portando un potenziale effetto domino in cui le aziende potrebbero decidere istintivamente di lasciare il mercato britannico (e viceversa). In effetti, un "NO DEAL" potrebbe avere un impatto negativo sia sulle multinazionali che hanno scelto di stabilire il loro ufficio a Londra, e sia sulle PMI che esportano e importano dal Regno Unito. Pertanto, in caso di "NO DEAL", esiste la possibilità di ricorrere a uno scenario in cui, almeno per un certo periodo e per categorie specifiche di prodotti, gli accordi dell’Organizzazione del Commercio Mondiale (WTO) disciplineranno il commercio con l'economia britannica.

In termini negativi, va anche considerato che le controllate britanniche in Italia hanno un peso rilevante. Queste assicurano un fatturato annuo di circa 35 miliardi di euro, pari al 9,5% del fatturato totale delle multinazionali in Italia, e occupano circa 85 mila dipendenti.

Nonostante gli effetti negativi, uno scenario "NO DEAL" potrebbe portare in Italia e nei paesi dell'UE anche interessanti opportunità. L'uscita del Regno Unito dall'UE potrebbe innescare una ridistribuzione almeno parziale degli investimenti esteri e attirare multinazionali in altri paesi dell'UE. Gli effetti sarebbero prodotti a medio termine anche se il loro impatto reale è difficile da quantificare in anticipo.

Uno studio del 2016 stima una diminuzione degli investimenti esteri nel Regno Unito del 22% in dieci anni. Questo importo corrisponderebbe a circa 282 miliardi di euro di capitale straniero che potrebbero fluire nei paesi dell'UE.

L'attrazione di questi investimenti stranieri da parte dei singoli paesi dipenderà dalle loro caratteristiche strutturali. Naturalmente anche per l’Italia potrebbero nascere delle opportunità per attirare investimenti. Sulla base del grado di somiglianza tra le distribuzioni settoriali degli investimenti stranieri in entrata, con l'importante eccezione dei servizi finanziari che hanno un ruolo di primo piano per l'economia del Regno Unito, emerge che il mercato italiano potrebbe avere buone possibilità, perché i suoi settori con un una maggiore presenza di capitali esteri (produzione, vendita all'ingrosso, telecomunicazioni e servizi IT) sono gli stessi che occupano le prime posizioni nella distribuzione di investimenti esteri diretti nell'economia del Regno Unito.

Nel 2017 le principali voci delle esportazioni italiane nel Regno Unito sono state:

  • macchinari (2,7 miliardi di euro);
  • autoveicoli (1,6 miliardi di euro);
  • medicinali e prodotti farmaceutici (1,3 miliardi di euro);
  • abbigliamento (1,2 miliardi di euro);
  • bevande (1 miliardo di euro);
  • componenti per autoveicoli (902 milioni di euro);
  • mobili (902 milioni di euro);
  • calzature (605 milioni di euro).

Per quanto riguarda le importazioni dalla Regno Unito, le voci più rilevanti sono state:

  • autoveicoli (1,9 miliardi di euro);
  • medicinali e prodotti farmaceutici (1,1 miliardi di euro);
  • macchinari (836 milioni di euro);
  • prodotti chimici (501 milioni di euro).

Fonte dei dati: Elaborazione su dati Istat (ICE London)